sabato 15 luglio 2017

Alla scoperta del Giappone con le scarpe da trail ai piedi. Di Antonio Grassi

Antonio Grassi, il fisico per professione e trail runner per passione, vi racconta la sua esperienza giapponese fatta di lavoro ma senza tralasciare lo spirito wild, alla scoperta di un nuovo mondo correndo!


PENSIERI E IMPRESSIONI DI UN TRAIL RUNNER
ALLA SCOPERTA DEL GIAPPONE.

Negli ultimi 3 mesi mi sono trasferito nel paese del Sol Levante e più precisamente a Kyoto, in Giappone. Professore in visita alla Kyoto University, Yukawa Institute for Theoretical Physics e un mondo nuovo da esplorare. Naturalmente non potevano mancare le scarpe da correre e sopratutto le scarpe da trail. 

Kyoto è stata la capitale del Giappone per circa mille anni, dallepoca dellunificazione fino alla fine dellottocento, e conserva un quantità inverosimile di testimonianze storiche e architettoniche. La città è letteralmente costruita attorno al palazzo imperiale e ai 500 templi della cultura buddista e scintoista. In ogni strada e angolo della città si trova un tempio di qualsivoglia dimensione con giardini magnifici e parchi strepitosi. 

Kyoto inoltre è circondata da una catena montuosa con altezze tra gli 800 e 1200 metri attraversata da migliaia di sentieri. Quello più famoso è il Kyoto Trail di circa 80 km che percorre per 270 gradi il perimetro da est a ovest della città. Che c’è di meglio? Un luna park di sentieri fantastici da correre.

Nei primi giorni mi acclimato, faccio passare un po’ di jet-leg e comincio l’esplorazione. Prima uscita per sgranchire le gambe lungo il Kamogawa. Un lunghissimo fiume che taglia da nord a sud Kyoto, oasi di pace con i sentieri sulle due sponde. Moltissimi runners giapponesi, qualche biker (e se non stai attento ti stira) e molta gente che passeggia. 

Arrivo in tarda primavera, ho la fortuna di assistere agli ultimi ciliegi in fiore, e noto che i runner giapponesi corrono vestiti da capo ai piedi. Calzoni lunghi, maniche lunghe, cappello, guanti, fazzoletto al collo. La cosa incredibile che non si spogliano nemmeno quando le temperature salgono. Adesso in estate c’è ancora gente che corre con i calzoni lunghi!

Poi comincia l’esplorazione collinare. Qui i gioielli di Kyoto cominciano ad apparire: templi magnifici, con portali (Torij) di legno dipinti di arancione, costruzioni di legno imponenti, statue di varie forme, volpi, orsi, gatti, divinita’ curiose (Tengu), ecc…..

Ma poi il bello inizia davvero. Si parte, prima meta Mont. Damonji. Sopra Kyoto. Una montagnetta di 500 metri con il primo tratto del Kyoto Trail. Si inizia ovviamente da un tempio, poi la grotta di un eremita, e il sentiero si fa impestato, radici e alberi. Si sale fino in vetta circa 8km. E qui per la prima volta mi rendo conto che i Giapponesi sono grandi amanti del trekking e del trail. Incontro sia corridori che camminatori. Questi ultimi attrezzati per spedizioni sul K2, un po’
anzianotti, ma belli tosti. Gruppi di 20/30 camminatori, uomini e donne con materiale tecnico di prim’ordine che mi lasciano tranquillamente passare sia in salita che in discesa. Sulla cima del monte i resti di tempio del 600 d.c., poi lunga scalinata fino Ginkakuji-mae, un altro magnifico tempio. 16km, 900 metri di dislivello.

La settimana successiva parto per un giro più lungo. Salgo finalmente al monte sacro: Mont. Hiei. Culla del buddismo più intransigente. Sede di una delle scuole più rinomate del buddismo nonché la casa dei monaci Maratoneti (vedi sotto).
Una salitona di 800 metri in 8km, in un bosco magnifico di conifere, aceri e altre specie. Vedo un paio di daini e parecchi trekker. Arrivo in cima, e incontro diverse comitive (in cima si arriva anche con la funivia). Poi passo attraverso lo Shakado-Mae (un tempio in legno magnifico) e proseguo
lungo il Kyoto trail fino a Ohara e infine (perdendomi un paio di volte) fino a Kurama. Sede di alcuna delle più antiche Onsen (i bagni termali giapponesi). Al rientro, trovo uno dei più bei boschi che abbia mai visto e mi lancio in una discesa senza fiato.
Orgasmo puro, alla fine 34km, 1800 metri di dislivello positivo.

Finalmente arriva il giorno del superlungo. Mi organizzo con cartine, acqua, qualche gel, una barretta di fagioli Azuki (fagioli dolci giapponesi) e mi dirigo verso Arashiyama. Il luogo è rinomato per un magnifico bosco di bamboo, un parco bellissimo, il fiume, gli innumerevoli templi e vari ristoranti affollatissimi. Arrivo alla stazione degli autobus alle 6 a.m. e parto. Mi dirigo subito in montagna tra le grida dei macachi (che purtroppo non riesco ad avvistare), mi inerpico fino sul crinale che divide la vallata di Kyoto da una valletta stretta con un fiume. Il sentiero è fantastico, leggera nebbiolina e si scende fino al fiume. Poi si segue un sentiero indescrivibile lungo il fiume, un continuo saliscendi fino a Takao. Paesino con vari ristoranti sul fiume e incontro un po’ di persone. Il sentiero prosegue con vari strappetti, niente di impegnativo fino ad un altro paesino. A quel punto si lascia il fiume e si sale. Salitone incredibile, prima asfalto, poi carrareccia, poi sentiero, poi gradini nella roccia. Un vista magnifica sulle montagne e si scende in un bosco fitto e umido. Fino ad arrivare a Kurama. Da li si risale al Mont. Hiei con una salita di 800 metri in 3 km tra radici e scalini. Scollino, passo in mezzo ai templi ed è ora di scendere a capofitto su Kyoto.
Incontro comitive di trekker che, un po’ impaurite dalla mia andatura, mi lasciano passare.
Per poco mi porto una vecchia giapponese fino in fondo alla discesa, se non fossi riuscito ad evitarla all’ultimo momento. 6 ore e 20’, 49 km, 2300 metri di dislivello. Ottimo allenamento e posti magnifici.

Ho la fortuna di lavorare all’università e di fronte alle finestre del mio studio c’è anche la pista d’atletica. Quale miglior cosa per qualche allenamento di velocità. Ovviamente all’università       ci sono gli studenti, che sono più giovani di me e quindi mi sono fatto tirare il collo, ma ho venduto cara la pelle!!!

Qualche giorno fà infine ho avuto unesperienza mistica: sono partito presto per fare la salita del mont. Hiei prima che ci fosse la solita folla, circa alle 7:30 ero allinizio del sentiero. È lungo circa 8 km e sale di 800 metri, stavo spingendo forte in salita e, circa a metà, c’è un tratto di bosco bellissimo con pini altissimi. Intravedo qualche cosa di bianco tra gli alberi troppo grande per essere una capra o un altro animale, proseguo e incrocio un monaco maratoneta del mt. Hiei, una vera rarità. Mi saluta, provo a prendere il telefono per fargli una foto (la foto che allego non è mia), ma mi fa segno che non vuole, rispetto il suo desiderio, mi inchino e lo saluto. Lo seguo con lo sguardo, io ero in calzoncini cortissimi, canottiera, scarpe da trail leggerissime, zainetto minimale e sudavo come un bestia, lui era
fasciato da più strati di tessuto bianco, un paio di sandali di paglia, un cappello assurdo in testa, qualche borsetta bianca appesa e un lungo bastone. Sembrava danzasse in discesa, non andava molto forte, ma si muoveva con naturalezza. Che incontro!

Ormai il lavoro è finito, la trasferta pure, si rientra a fine luglio. Ancora il tempo per qualche corsetta a Kyoto, Tokyo e Osaka e poi si ritorna alle amate colline della Munfrà Valley.

Esperienza positiva e molto arricchente, tutti dovrebbero passare del tempo all’estero, non solo per correre, ma per sentirsi un po’ extracomunitari. È vero ho la fortuna di viaggiare nel migliore dei modi da privilegiato e non certo scappando da guerre o dalla povertà su un barcone. Ma certe volte, quando sei in un paese straniero, dove non capisci la lingua, dove non comprendi certi comportamenti e ti devi adeguare alla nuova realtà per poterci vivere anche solo per qualche mese, quando è evidente che sei tu lo straniero, forse capisci un po’ meglio cosa provano tanti migranti e si impara ad essere più tolleranti e più aperti.


Negli anni ho aggiunto ai miei viaggi la grande fortuna di poter correre e questo mi dà una marcia in più per esplorare il mondo che mi circonda e ho voluto condividere queste sensazioni e questi pensieri. Alla prossima. Sayonara. Antonio.    

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